Tra le mie varie letture da treno, ultimamente mi
sono avvicinata ad un genere particolare: la tragedia greca.
Ho sempre amato la mitologia, ma sui libri
scolastici. Il mio approccio con libri seri come la Teogonia o le Metamorfosi erano pieni di entusiasmo, ma lo stile mi smorzava subito. Sono poemi, perciò
scritti in metrica, con figure retoriche e tante belle cose che sono importanti
letterariamente, ma rendono la lettura difficile e pesante.
La prima tragedia che ho letto, invece, mi ha
subito entusiasmata, in parte perché ero curiosa di sapere quale tra i vari
finali tragici potesse avere (che sarebbe stato tragico era ovvio) ma
soprattutto per il linguaggio e i toni sferzanti che mi hanno sorpresa e
divertita molto, ed è quella di cui vi parlo ora, Antigone.
La partenza è improvvisa, spiazzante e un po'
confusa per noi che non viviamo a pieno le storie mitiche. Poiché la tregedia
doveva durare al massimo 24 ore, dà per scontato l'antefatto, che io ora
brevemente vi riassumo.
Edipo diventa re di Tebe, perchè riesce a
sconfiggere la sfinge che minacciava la città e il re viene ucciso da un
viandante sconosciuto e mai ritrovato. Si innamora della vedova del re e la
sposa. Da lei avrà quattro figli: Eteocle, Polinice, Antigone e Ismene. Scopre
diversi anni dopo (narrato nella tragedia, sempre di Sofocle, Edipo
re) di essere lui il viandante che ha ucciso il re, suo padre, e aver
giaciuto senza saperlo nel letto della propria madre. I genitori lo avevano
abbandonato da piccolo per evitare che la profezia che prediceva tutto ciò si
avverasse e lo credevano morto. Distrutto dalla scoperta, si acceca la
moglie/madre Giocasta si trafigge con un pugnale.
I figli maschi e gemelli, Eteocle e Polinice,
lottano per il potere e scoppia una guerra civile che culmina con l'esilio di
Polinice. Così assedia Tebe e durante un combattimento i due fratelli si
uccidono a vicenda. Creonte, fratello di Giocasta, prende il potere e ordina
che il corpo di Polinice, poiché ha attaccato la propria patria, rimanga insepolto, pena la morte per chiunque lo
seppellisca.
Qui inizia la tragedia di Antigone, che cerca di
convincere la sorella Ismene a seppellire di nascosto il fratello. Sostiene che
sia una punizione troppo grave quella scelta da Creonte, anche per una colpa
come quella (per i greci era uno dei più grandi obblighi morali verso gli dei
seppellire i morti, più di una volta vengono elogiati eroi che hanno dato la
sepoltura ad un uomo, anche se sconosciuto). Ismene però ha paura di andare
contro la volontà del re e Antigone agisce da sola.
Due volte seppellisce il cadavere e due volte
viene disseppellito, alla seconda viene scoperta e condotta dal re per essere
punita. Qui inizia la parte più viva della tragedia. Antigone è una donna di
carattere e, visto che la sua fine è segnata, non teme nulla e non trattiene
commenti sferzanti e riflessioni sentite ma lucide che portano nel torto il re
caparbio e sbalordiscono il lettore.
È una tragedia breve ma intensa, dove però trovano
spazio forti emozioni, convinzioni e ripensamenti, verso un finale che mi ha
stupito. E la consapevolezza che almeno uno dei personaggi sarebbe morto alla
fine (non si sarebbe chiamata tragedia altrimenti) stranamente non mi ha
rovinato la lettura. È difficile che io legga storie lacrimevoli o tragiche e
per questo dubitavo che le tragedie potessero piacermi, ma sono rimasta
sorpresa. E se tutte sono scritte con un brio simile, non mi stupisce che i
greci le amassero tanto (come sottolineo anche in un mio articolo). In fondo gli antichi greci erano uomini come noi, e lette per piacere le loro opere non sembrano così male, non trovate?
Fabiana
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