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sabato 25 marzo 2017

E SE IMPARASSIMO A DIRE NO



Io dico sempre si, anche a discapito della mia libertà personale.
Sono una “yes sayer” al limite del “servilismo”.
Per non ferire gli altri spesso mi sono inflitta grandi sofferenze dal punto di vista emotivo, ed ancora oggi ne pago le conseguenze.
Ma come si impara a dire no?
Non lo so, ma sopratutto come si impara a dire no e nel contempo non sentirsi in colpa?
Non ho una risposta neanche a questo.
E non so da che parte iniziare e credo che per quelli come me non ci sia una soluzione.
Se dici sempre si, ogni volta, ogni singola volta, in ogni singola occasione; se metti gli altri davanti a te, se preferisci limitarti tu, piuttosto che affrontare gli altri, quali possono mai essere le speranze che le cose cambino?
Pochissime.
E poi è giusto parlare di speranze o sarebbe più corretto parlare di impegno o di volontà. Perché il cambiamento dovrebbe nascere da noi e non dovrebbero essere i fattori esterni a risolverci il problema.
E se poi per una vita hai detto si a tutti, cosa succede la prima volta che dici no?
Ecco, per esperienza personale, le poche volte che ho provato a reagire ed uscire dalla gabbia del dire sempre si,  perché è una gabbia le cui parete nel corso del tempo diventano sempre più strette, mancava poco che finissi sbranata dai destrieri dei cavalieri dell’apocalisse, e questo mi ha spaventata a tal punto che sono ritornata nella tranquillità della gabbia, ma è sbagliato.
Si può cambiare, si può invertire la rotta?
Non lo so, secondo me è un percorso lungo ed accidentato. E’ un attimo tornare sui passi precedenti e ritrovarsi di nuovo nella gabbia, perché sebbene sia claustrofobica e opprimente, è comunque la nostra “confort zone” ed anche coloro che dicono di non avere paura dell’ignoto e del cambiamento, in verità un pò di timore lo provano.
Allora bisogna rassegnarsi e ringraziare la propria stella che invece di farci nascere dei carri armati pronti ad atterrare con i nostri cingoli qualunque cosa, ci ha fatto nascere così?
No forse no, ma bisogna imparare a lavorare su questo aspetto.
Il mio consiglio non è di dire no a tutti, diventare i terroristi del NO, le persone a cui nessuno si rivolge perché troverebbero il muro, magari è un estremismo che non ci appartiene, visto che fino poco tempo fa eravamo quelli che dicevamo si a tutto e tutti, ma imparare a gestire i si ed i no, dare la priorità sia a cosa ci viene chiesto e sia a chi ce lo chiede e bilanciare le nostre risposte in base a questi parametri.
E’ facile? Assolutamente no.
Io sono qui a scrivere di queste cose e sebbene ci creda con tutta me stessa, una parte di me è convinta che difficilmente riuscirò ad attuarlo, ma riconoscere il problema è già un buon punto di partenza per elaborare il tutto e provare a migliorarsi e cambiare atteggiamento.
E voi come vi sentite?
Come siete nei confronti delle persone che vi circondano?
Lo spazio sotto come al solito è per i vostri commenti.

martedì 28 febbraio 2017

COLORO CHE ODIANO



Sono davvero caratterizzati questi ultimi tempi dall’odio o l’odio è sempre esistito?
Certo l’odio esiste dalla notte dei tempi, Caino uccise Abele, persecuzioni cristiane caratterizzarono l’Impero Romano, senza parlare del Medioevo periodo buio ed oscuro con orde di barbari che depredavano l’Europa eppure anche oggi che ci definiamo civili, che abbiamo leggi che ci dovrebbero tutelare, un grado di cultura altissimo (basti pensare che cento anni fa l’istruzione era accessibile a pochi) viviamo comunque un periodo di odio.
Un odio che si alimenta proprio grazie all’anonimato che i social danno, un odio che non è dettato dalla conquista o dalla sete di potere, ma dall’invidia.

Forse, il titolo corretto sarebbe coloro che invidiano.

Se hai tanti follower sui siti, blog etc tutti pronti a dirti che non valgono nulla, ricordate un paio di settimane fa la polemica di Chiara Ferragni ad Harvard?
Tutti schierati contro di lei, dicendole che non era all’altezza o altro, ma da quando siamo diventati tutti rettori di una delle più importanti università al mondo da decidere se fosse o non fosse idonea.
Ecco questo il problema, il non riconoscimento dell’autorità altrui.
Credo che un ateneo come quello, abbia visto passare menti illustri e personaggi che davvero hanno cambiato il mondo, sia in grado di decidere quali persone possano arricchire il livello culturale dei propri studenti.
E’ così mentre lei teneva la sua lezione, noi dal nostro divano dietro i nostri tablet e smartphone, giù a scrivere le peggio cose.
Perché?
Perché non possiamo cambiare la nostra vita, invece di giudicare quella degli altri.
Non arriviamo all’uva e diciamo che non è matura, ma perché non troviamo un metodo per raccogliere quest’uva.

Se fai una cosa, tipo me che apri un blog e cerchi di aggiornarlo nei pochi ritagli di tempo fra lavoro, casa, bambino e altre mille impegni, tutti a dirti frasi come “che ci va”, “fai foto mediocri, le potrei fare più belle io”, “certo in giro c’è di meglio, sei una delle tante”.
E’ vero lo so, ma tu sai di aver dato solo gratuitamente fiato alla bocca?
Sono una delle tante e magari resterò una delle tante, ma questa cosa la faccio con passione e mi ha fatto conoscere persone che lo fanno con passione, persone che fanno foto meravigliose e che io neanche in 10 vite saprò fare, ma non le invidio.
Le vedo come uno stimolo a migliorarmi, ed a dare di più, guardo i loro scatti, li studio e cerco di capire come nascono e come valorizzare i miei.
La passione è un motore, l’invidia è un freno.
L’amore è un motore, la paura un freno.

E parliamo di San Remo, la canzone che ha vinto è fighissima (licenza poetica, il blog è mio e ci scrivo io), ha una musica leggera e parole semplici compreso un ritornello che fa canticchiare,  eppure parliamo dei contenuti

Intellettuali nei caffè

Internettologi

Soci onorari al gruppo dei selfisti anonimi.

L’intelligenza è démodé

Risposte facili

Dilemmi inutili.

I contenuti sono molto profondi, ma sappiamo solo più sbocconcellare roba velocemente, non leggiamo, ma scorriamo con gli occhi.
Non analizziamo, ma giudichiamo.
E anche qui i giudizi si sono sprecati “una canzone che in tre mesi sarà dimenticata” come se degli ultimi 15 San Remo, i non addetti a lavori si ricordassero titoli e vincitori, premi della critica and co.

Perché dobbiamo giudicare ogni cosa?
Non facciamo lo sforzo di analisi, non ascoltiamo nessuno, la nostra soglia di attenzione è di 30 secondi, dopo di che scatta l’io-io-io e sappiamo tutto noi, parliamo tutto noi.
Ci sentiamo attaccati e spesso è vero, certe persone ormai si rivolgono agli altri solo “abbaiando”, ma noi?
Noi a volte non siamo migliori e forse ci sentiamo attaccati quando in verità non lo siamo o forse attacchiamo quando abbiamo paura.

E’ un argomento complesso, e la mia voleva solo essere una riflessione su questa cosa e su come a volte mi dispiace leggere cose piene di odio in giro per la rete e sebbene sappia che le mie parole non cambieranno il mondo, sono sicura di non essere sola e che persone come me che vedono ancora il buono ce ne sono tante.


Lo spazio sotto come al solito è il vostro per i commenti, vi auguro una buona giornata.

mercoledì 22 aprile 2015

Ritorno alla lettura: Flatlandia e Siddharta



Ritorno a questa rubrica dopo, lo ammetto, una lunga assenza. Ma posso giustificarmi dicendo che non è stata tutta colpa mia. A febbraio infatti la professoressa di Letteratura Italiana Contemporanea disse -Nel terzo modulo parleremo di due libri: “Una questione privata” di Beppe Fenoglio e “Fausto e Anna” di Carlo Cassola. Per l’inizio di aprile dovete averli letti entrambi, magari anche due volte-
Il primo è il libro neorealista per eccellenza, quindi quando parla dei partigiani non tralascia le parti meno eroiche e brutali, e ha una fine penso volutamente poco chiara e incompleta. Poi forse a voi Cassola ricorderà con piacere “La ragazza di Bube”, anche noi ci speravamo, ma “Fausto e Anna” ebbe successo solo come suo eco e ha un’atmosfera molto diversa.
Tristemente occupata in queste letture per dovere (anche se ovviamente non ci penso minimamente a leggerli due volte) ho tralasciato quelle per piacere.
Ma da quando ho preso la buona abitudine di leggere in treno e soprattutto ho finito questi due libri, le mie letture sono ricominciate vivacemente e ho anche ripreso in mano la vecchia lista di questa estate.
Il primo che ho letto è stato “Flatlandia” di Edwin A. Abbott (recensito da me più approfonditamente qui), appunto da quell’elenco. Di questo misterioso libro conoscevo solo a grandi linee la storia: un piano abitato da forme geometriche, tra le quali un quadrato scopre che esiste un’altra dimensione grazie a una sfera che lo tira su dal piano e lo invita a far comprendere questa verità anche ai suoi simili. Nei loro ragionamenti si può intravedere un piccolo trattato sulla geometria multidimensionale, ma non spaventatevi, è del tutto fuso con la storia e passa inosservato.
Ma l’autore non si è limitato solo alla storia, la sua bravura sta nel raccontare con molti particolari la cultura degli abitanti del piano: come costruiscono le abitazioni, pentagoni aperti su un lato; norme di comportamento per le donne che sono linee e quindi rischiano di perforare gli uomini se non fanno attenzione; come si riconoscono tra di loro anche se solo linee di diverse tonalità di grigio. Oltre a ciò ha creato anche una storia passata e una struttura burocratica, amministrativa e legale.
Non bisogna dimenticare la critica sociale insita in questo libro. Ogni forma geometrica ha il suo grado sociale e la sua intelligenza è misurata in base alla grandezza dei suoi angoli. Sta al lettore, o almeno io l’ho inteso così, capire se davvero i triangoli (angolo di 60°) sono meno intelligenti dei decagoni (angolo di 144°) oppure è la società che glielo fa credere. Tralascio poi le tanto criticate linee a rappresentare le donne, il loro angolo è di 0° e quindi a mala pena senzienti. La società nel XIX secolo era diversa, ed era impensabile in un libro del genere porre le donne allo stesso livello di angolo/intelligenza di un uomo, per quanto non fosse desiderio dell'autore renderle inferiori, ma criticare la società che le trattava come tali.
La fine è un po’ triste, ma del tutto realistica, e quindi rientra perfettamente nello stile del libro.
È breve e davvero piacevole da leggere.
Il secondo libro che ho letto è stato “Siddharta” di Hermann Hesse. Dello stesso autore ho letto qualche anno fa “Narciso e Boccadoro”, e me ne sono innamorata. Così quando circa due anni fa ho trovato un altro libro di Hesse ho provato a leggerlo. Il primo impatto è stato pessimo, era noioso e troppo descrittivo (per forza, era l’inizio) e così ho smesso di leggerlo. Mi capita a volte di non riuscire ad ingranare con un libro, così lo lascio da parte senza insistere e riprovo in seguito, quando ne ho di nuovo voglia.
Così l’ho ripreso in mano adesso. Dopo la parte iniziale che ti inserisce nel mondo della nobiltà indiana, il racconto scorre liscio. Il protagonista Siddharta cerca la via verso l’illuminazione e dopo aver provato alcune dottrine, capisce che seguire le regole di un maestro è inutile, perché quello stesso maestro ha trovato dentro se stesso le risposte, e non in rituali.
Ovviamente la sua vita non sarà un’ascesa continua, avrà delle cadute verso la carnalità e la materialità più bassa, ma riuscirà a risalire e troverà l’illuminazione in un luogo e in un modo totalmente inaspettato.
Ammetto che questo libro incute molta soggezione, molto più di “Narciso e Boccadoro” anche se la tematica della ricerca è la stessa, ma è davvero scorrevole e semplice da leggere. È necessaria però una discreta conoscenza sulla religione buddista, perché molte cose sono date per scontate.
Rispetto a “Flatlandia” è molto difficile scindere la storia dalle sue riflessioni sulla vita, ma certi insegnamenti sono universali e possono essere condivisi anche se non si seguono le ideologie buddiste (questo è sempre un argomento molto spinoso per la nostra società tanto legata alla religione Cattolica) perché rientrano nel buonsenso che però spesso ignoriamo.

Spero di aver stuzzicato la vostra curiosità con questi due libri. Magari anche con quelli di Fenoglio e Cassola, chi lo sa...
Come sempre se avete commenti o domande mi fa molto piacere rispondervi.
Al prossimo libro,
Fabi

domenica 29 settembre 2013

Special guest: Fabiana




Oggi per la rubrica: " che libro ho sul mio comodino", ho passato la parola a lei.
La mia cuginetta ( chiamala cuginetta, 18 anni e molto più alta di me, ma che ci volete fare ai miei occhi sarà sempre la mia cuginetta).
Quindi visto la tenera età si torna sui banchi di scuola. Gente, carta e penna! Oggi un grande classico: " la coscienza di Zeno".
Io non "mi sono mai presa a leggerlo", ma dopo la recensione di questa fanciulla, quasi quasi vado a riprenderlo dallo scatolone dei vecchi libri del liceo e lo leggo, visto che all epoca avevo disertato.

La coscienza di Zeno, Italo Svevo (recensito, sempre da me, anche qui)
Chi non ha mai sentito parlare di questo classico della letteratura italiana? Quanti di voi, ai tempi della scuola, sarano stati costretti a leggerlo durante l’estate?
A me è successa la stessa cosa questa estate. Avevo da leggere tanti libri nella mia ultima estate da liceale, e mi sono stupita quando durante la giornata iniziavo a pensare a Zeno, Alberta, Ada, Guido e a tutta la loro famiglia.
Per quelli di voi che l’hanno letto, forse questi nomi ricorderanno qualcosa, qualche noioso pomeriggio probabilmente. O forse avete rimosso totalmente la storia dopo aver detestato quel libro.
Già alle prime pagine, infatti, ci si trova davanti ad una difficoltà, poiché Italo Svevo era del secolo scorso, la sua lingua rispecchia la sua epoca e ci vuole sempre qualche pagina prima di abituarsi allo stile molto diverso dal contemporaneo. Ma non vi fate scoraggiare, in fondo è solo questione di abitudine.
Quando finalmente si riesce a leggere con fluidità, si apre il mondo di Zeno.
La storia inizia con Zeno che è un giovane uomo. Si racconta di molti momenti importanti della sua vita raccontati da lui stesso, infatti il libro sono le sue memorie scritte anni dopo sotto consiglio del suo psicoanalista.Non si tratta di un libro di psicoanalisi, anche se chi conosce quel mondo può coglierne alcuni tratti, e la parte relativa alla terapia è talmente ridotta da fartene dimenticare durante tutta la lettura.
Quando Zeno è ragazzo perde il padre improvvisamente e perde quel punto fisso che lui rappresentava. Da allora le sue finanze sono affidate ad un contabile e lui rimane pressochè libero da ogni impegno.
La sua vita si ravviva quando conosce la famiglia Malfenti, dove si innamora e si sposerà. La sua storia d’amore iniziò con il corteggiamento di una delle tre belle figlie in età da marito. Poiché la storia è raccontata in prima persona, vengono decritte minuziosamente tutte le azioni di Zeno e della sua amata e anche le riflessioni successive a quelle azioni, come solo una mente innamorata può arrivare a fare, soprattutto se ha il dubbio di non essere corrisposta.
Dopo il matrimonio la storia procede più spedita tra tradimenti, figli, avveture commerciali e cognati, tutti osservati con lo sguardo dal futuro e quindi commentati con il senno di poi.
In apparenza potrebbe sembrare un libro fatto di immaginazione, dove si pensa troppo e si agisce poco, e forse un po’ è così. Io stessa avevo questa idea, ma superata la metà ho iniziato ad affezionarmi ai protagonisti come poche volte succede leggendo i libri, e ho iniziato ad essere molto curiosa di come potesse finire. Certo, non lo eleggerei il mio libro preferito, ma mi sento di consigliarlo se avete un po’ di voglia e pazienza che inizi a piacervi.


Buona lettura... Fabi questo spazio e' per te, ogni volta che ne vuoi approfittare.

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Buongiorno lettori e lettrici, non mi sono dimenticata del BLOG e che io e Fabiana vogliamo provare una nuova avventura, un'avventura pi...